Un’amicizia vera, ossia disinteressata, basata sulle affinità elettive degli uomini e delle donne, è oggi cosa davvero rara. Tuttavia, a volte, ancora càpita di annodare relazioni di questo tipo, senza le quali la vita sarebbe come scipita, senza sale. Desidero perciò parlarvi di un mio grande e carissimo amico, Carlo Parisi, che purtroppo ci ha prematuramente lasciati l’anno passato.
Si alternano da qualche tempo voci discordanti sullo stato di salute dell’università italiana. Con allarmante frequenza rimbalzano sulle colonne dei nostri giornali notizie che riferiscono di cervelli in fuga, di nepotismo, di concorsi truccati, persino di docenti posti agli arresti domiciliari. Ma capita talvolta di leggere notizie di intonazione addirittura opposta, nelle quali l’università italiana è dipinta come un vero paradiso della scienza e dell’intelligenza, ove la ricerca prospera senza limiti e, soprattutto, senza rivali nel resto d’Europa. È quanto risulta da un’indagine dell’Anvur, prontamente riecheggiata dalla stampa nei mesi scorsi.
L’Anvur, ente ministeriale il cui compito è di valutare la qualità della ricerca universitaria, ha pubblicato di recente i risultati di un’indagine che copre il periodo 2011-2014. La realtà dipinta dalle indagini dell’Anvur supera ogni più rosea fantasia: nelle università italiane, la ricerca prospera più che in Francia o in Germania! Non dispongo certo dei sofisticati strumenti statistici e comparativi dei funzionari Anvur. Ma, forse a differenza di loro, ho avuto dell’ambiente universitario un’esperienza variegata e approfondita, che mi vieta i voli pindarici e mi conduce a conclusioni assai meno rosee e rassicuranti. Delle presunte meraviglie dell’università italiana ha parlato anche un articolo dall’intonazione entusiastica, apparso sul Corriere della sera il 21 febbraio scorso. Ne è seguita una mia lettera alla rubrica che Aldo Cazzullo tiene sullo stesso quotidiano.
Ha ancora senso oggi studiare filosofia? Iscriversi a filosofia è una scelta vincente o perdente in un’ottica professionale? Sono gli interrogativi che assillano un mio giovanissimo amico, appassionato di studi filosofici, il quale mi ha scritto in privato dopo essersi imbattuto nel mio blog. Pubblico qui la sua lettera, seguita dalla mia riposta
In questo breve articolo torno ancora una volta, forse per l’ultima volta, sulla mia interpretazione del perdono. E lo faccio mercé l’analisi del celebre episodio evangelico della crocefissione di Gesù Cristo (Luca, XXIII, 34). Si crede solitamente che Gesù Cristo sulla croce abbia parole di perdono per i suoi carnefici. Ma si tratta di una credenza priva di fondamento. Cristo non perdona nessuno: rivolge invece un’esortazione a Dio perché sia lui a perdonare al posto suo. Gesù muore sulla croce da uomo, e un essere umano può concedere veramente il perdono solo a chi si è pentito. E’ questa una necessità da cui forse Dio solo, nella sua onniscienza e onnipotenza, è esente. Ecco perché è semmai Dio, giammai Cristo, che può perdonare i crocifissori.