Ricordo di Carlo Parisi

Conobbi Carlo per caso, a Milano, verso fine estate 2012. Alla ricerca di un dattilografo che fosse anche un grafico, mi imbattei in uno degli annunci che pullulano in Rete. Composi il numero di telefono, mi rispose una voce dall’accento lombardo, sicura, meticolosamente professionale; ci accordammo per una prova l’indomani. Di buon’ora mi recai a prenderlo in auto nei pressi della stazione della metropolitana ove ci eravamo dati appuntamento: quando lo vidi, la rappresentazione che mi ero fatto di lui dileguò come neve al sole. Mi ero figurato un puntiglioso professionista in giacca e cravatta: avevo di fronte a me un uomo di mezz’età, dagli occhi grigi, alto e corpulento; abbigliato con felpa, scarpe da tennis e una vistosa bandana, e che fumava una sottile sigaretta arrotolata; le braccia scoperte rivelavano ogni sorta di tatuaggi; non saprei dire quanti pendenti avesse alle orecchie e intorno al collo; le dita di ambedue le mani erano ricoperte di anelli d’argento.

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